A different perception of interdipendence

La diffusione dell’epidemia ha rappresentato una discontinuità dai caratteri paradossali, poiché ha attraversato orizzontalmente la geografia del pianeta, indifferente alle distinzioni etniche, di genere o di classe, scuotendo sistemi politici e sociali che negli ultimi anni sono stati sovente condizionati da localismi e divisioni nonché da un’ondata di forte contrapposizione verso le basi costitutive di quel multilateralismo costruito a partire dal secondo dopoguerra.

Quasi sempre questi particolarismi sono stati fondati su di una retorica forzata, su una tecnica comunicativa del falso dilemma che riduce ad uno schema binario – del questo o quello – la vasta gamma di scelte che la realtà invece presenta, contraddistinta com’è da una complessità crescente e a volte difficile da decifrare.

Le questioni irrisolte, a cominciare da quella ambientale, si presentano con un urgenza indifferibile ed un carattere globale che non risparmia nessun’ area del pianeta, i sistemi economici mostrano fragilità e pericoli di nuove ulteriori disuguaglianze.

La crisi sanitaria, con tutto il suo vissuto emotivo, ha rapidamente rivoluzionato le agende politiche, creato un nuovo assetto psichico (corporeo) sociale, inciso sui modi di vivere finora conosciuti.

L’interconnessione sperimentata in questa fase è anzitutto quella tra esseri umani, in cui la condizione di salute fisica o di malattia non conosce barriere, richiama ad una responsabilità degli uni nei confronti degli altri.

Non si tratta più soltanto dell’interdipendenza come categoria geopolitica, nel senso di Joseph Nye1, quanto di una forma di superamento degli schemi tradizionali e strutturati, di un’apertura al pensiero “divergente”, creativo, che produce soluzioni pratiche ma allo stesso tempo è capace di risollevare la memoria della bellezza, dell’arte, della cultura e della relazione con il soprannaturale.

L’impulso alla ricerca di un rimedio alla malattia che ha infranto gran parte delle certezze su cui era incardinato il vivere e pensare comune, conduce allo sviluppo di «anticorpi mentali» perché richiede innanzitutto una riforma del pensiero.

Il dramma collettivo, al pari di guerre e rivoluzioni, accelera i mutamenti collettivi, spinge le nazioni a ricercare forme di giustizia sociale, talvolta a riformulare i propri meccanismi istituzionali.

Gli “accidenti estrinseci od intrinseci2 che secondo il Macchiavelli “conducono gli uomini a riconoscersi e le repubbliche a tornare ai loro principi”, fanno sì che uomini e comunità siano portati a rapportarsi con la totalità della vita, con il concetto che «il tempo dell’azione umana, il tempo dell’azione che lega la nascita alla morte3» appare così indeterminabile al punto da non sapere quando “il mondo di domani” avrà inizio.


  1. Robert O. Keohane and Joseph S. Nye Jr.,  “Power and Interdependence in the Information Age”, Foreign Affairs, Council on Foreign Relations, 1998. 

  2. Niccolò Machiavelli, “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”, III, cap. I. 

  3. Giulio De Ligio. «La rivelazione pandemica e la vita comune: pensare la politica nel “mondo di domani”», pag. 37, in “Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione e le relazioni internazionali.”