La responsabilità sociale dell’impresa e la sfida del presente

Nell’anno in cui il mondo è stato attraversato da una crisi sanitaria con pochi precedenti, il tessuto economico e produttivo è stato posto di fronte ad una prova di tenuta al pari dei sistemi sociali, di welfare, delle singole comunità, grandi o piccole.

La reazione del mondo delle imprese ha assunto toni diversi, di caparbietà, solidarismo, volontà di tenuta e a volte una rinnovata ricerca di riscatto, che ha tratto dallo smarrimento iniziale una linfa vitale insperata. Altre volte si è trovato di fronte alla necessità di un ripensamento totale della propria fisionomia, come nel caso di interi settori la cui attività rimane tuttora sospesa, nell’attesa di ritrovare una nuova normalità, poiché quella finora conosciuta non sarà forse più possibile, almeno per qualche tempo.

In entrambi i casi la risposta è stata una risposta contemporanea, basata sul ricorso a strumenti e forme di lavoro che sono divenute da possibili a necessarie, e su di un’insieme di infrastrutture tecnologiche che hanno senz’altro svolto un ruolo essenziale.

I contenuti di tale reazione hanno tuttavia fornito dimostrazione di validità della cultura di impresa che, sola, riesce dare un colore definito alla condotta aziendale, un sottostante alla capacità di riorganizzazione positiva di fronte ad eventi traumatici come quelli vissuti di recente, un collante per il mantenimento della propria identità.

Non era pertanto possibile in un anno così difficile, in cui ricorre il sessantesimo anniversario della sua prematura scomparsa, non fare ancora ricorso al pensiero illuminato ed attuale di Adriano Olivetti ed alla sua industria gentile, per spiegare non soltanto le radici del rapporto tra impresa e società come pure riconoscere i frutti di quegli avanzamenti che in tempi quasi impossibili hanno costituito semi preziosi.

Si tratta della cultura umanistica, che è forse uno dei primati italiani, della sensibilità sociale e dell’attenzione per i diritti dei lavoratori, che fecero dire ad Olivetti “I think different1 un secolo prima di Steve Jobs.

C’è dunque un tema di sorprendente attualità, che si percepisce nel parallelismo tra gli eventi di oggi e quelli che contraddistinsero i due grandi conflitti mondiali del ‘900. Poi viene quello di rintracciare quanta parte di quel pensiero é oggi patrimonio comune e viene riesplorato per raccontare quel che occorre per fare oggi impresa con visione e con responsabilità di tutte le dimensioni dell’agire economico.

«C’è una crisi di civiltà, c’è una crisi sociale, c’è una crisi politica. L’ingranaggio della società che è stato rotto (…) non ha mai più funzionato, e indietro non si torna. Come possiamo contribuire a costruire quel mondo migliore che anni terribili di desolazione, di tormenti, di disastri, di distruzione, di massacri, chiedono all’intelletto ed al cuore di tutti?»

Pensieri che sembrano scritti oggi e che sono in grado di rappresentare gli stati d’animo e le istanze di una umanità alle prese nuovamente con la perdita delle proprie certezze, con questioni esistenziali che prendono magari anche forme nuove ma che sottopongono le società alla prova dei propri valori.

Abbiamo scritto varie volte dei connotati filosofici e filosofico-etici della cosiddetta corporate social responsibility (“CSR”), che si afferma nella dottrina aziendalistica nordamericana verso la metà del secolo scorso e questa volta, data la particolarità del momento, riteniamo di rinunciare all’esplorazione etimologica e dare maggior spazio a quei segnali di forza creatrice di cui si trova evidenza e che trasportano nel reale molte formule che apparivano astratte.

Le dimensioni abituali in cui si rappresenta la responsabilità sociale sono il radicamento nel territorio, le ricadute dell’efficienza industriale e dell’organizzazione del lavoro sul tessuto economico, dell’innovazione sul progresso generale, l’attenzione verso i temi ambientali, l’agire improntato a criteri di uguaglianza e non discriminazione, insomma tutte quelle nozioni di agire responsabile che hanno sviluppato il loro fondamento ontologico nel corso del dibattito – non sempre pacifico – degli ultimi 70 anni.

Il modello di business perseguito da MAG come è noto ha una storia che incorpora elementi importanti della tradizione industriale italiana, del proprio settore ma anche in generale, ed in quanto tale si è posto più volte, nel corso più recente della propria evoluzione nella modernità, di fronte al tema dei valori fondanti, dei principi ispiratori che ne costituiscono il fondamento.

Questa autoanalisi che si svolge annualmente ha spesso portato in evidenza come alcune scelte del tutto volontarie, come quelle di fare sforzi di investimento anticipatori oppure di dotarsi di strumenti evoluti di governo, di improntare le proprie strategie a programmi di a volte lunghissimo termine, di dare forza alle relazioni con il mondo universitario per il valore che possono rappresentare nei e per i territori in cui opera, abbiano un peso specifico che non è misurabile in termini soltanto economici.

L’appartenenza ad un settore strategico ha consentito a MAG di operare incessantemente durante tutti i mesi dell’anno appena chiuso, offrendo a tutti i dipendenti e collaboratori condizioni di lavoro idonee e sicure, siano esse attraverso il cosiddetto smart working sia garantendo in ogni momento i più elevati standard di protezione sanitaria, rappresentando una fortissima prova collettiva di resilienza e di solidità, con iniziative che hanno messo in evidenza il senso di appartenenza e una base culturale che interpreta l’impresa come un organismo vitale, che svolge un ruolo insostituibile di riferimento, di azione nel progresso.

Quel che appartiene allo spontaneismo, magari tipico di una realtà italiana delle medie imprese ancora magari poco formale, non è per questo meno importante. Rivela anzi che la cultura esiste nella sua autenticità, che non è informazione, nozionismo o ostentazione e che si raggiunge con un percorso che viene da lontano ed è spesso silenzioso.

Gli aspetti caratterizzanti di questa cultura sono proprio quello che vogliamo ricordare in questo anniversario, sono i valori spirituali, della scienza, dell’arte sono “credere che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate”, sono la convinzione che la condotta economica non possa prescindere dal credere “nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.

La prova di maturità, che è tuttora in corso, assume quindi un valore maggiormente significativo allorché la si collochi nel contesto più generale ed ha un valore più significativo di quanto possano essere liberalità una tantum che, pur lodevoli, hanno un carattere promozionale.

Si può dire pertanto che la situazione congiunturale abbia offerto una prospettiva diversa della nozione di valore condiviso, o shared value, nel senso che ha fornito una rappresentazione di come l’impresa sia il crocevia di istanze e monadi di un valore che non è soltanto economico e che si distribuisce anche in maniera inconsapevole2.

La prospettiva Olivetti come definita da Davide Maffei3, non va però intesa nel senso di una socializzazione strisciante del principio della libera impresa. Al contrario essa fa capire come la solidità dei principi che ne sappiano ispirare il comportamento e la valorizzazione dell’interdipendenza tra i cosiddeti stakeholder, finisce per costituire un potentissimo vantaggio competitivo.

Il tema è stato esplorato anche al di fuori del micro-cosmo aziendale per comprendere i fattori e le condizioni che favoriscono collaborazioni di successo nel settore sociale, ovvero un contesto in cui operano imprese, ONG, governi membri della comunità. Si tratta del collective impact introdotto da John Kania e Mark Kramer, autori della Stanford Innovation Review, in cui fu messo in evidenza come il potenziamento dei principi del collective impact aumentava le doti di competitività, rendendo possibili avanzamenti nel progresso sociale, così come pure nella ricerca di opportunità economiche.

Fu Kramer che insieme a Michael Porter nella serie di scritti sull’HBR4 più volte richiamati ad argomentare come le imprese possano andare oltre la soglia della responsabilità sociale per interpretare il proprio ruolo nella creazione di valore condiviso includendo ad esempio la dimensione sociale ed ambientale nella definizione delle proprie strategie e guadagnando in competitività.


  1. La Repubblica, 27.04.2013, Federico Rampini, “Olivetti inedito”. 

  2. Immagine tratta da “Essentials of Social Innovation” (iStock/wildpixel) in “Collective Impact”, J.Kania, M. Kramer, winter 2011, Stanford Social Innovation Review. 

  3. D.Maffei, tra i fondatori dell’Associazione Edoardo Gellner Architetto, direttore del lungometraggio “Paradigma Olivetti” e “Prospettiva Olivetti”. 

  4. Harvard Business Review, “Creating Shared Value”, Michael Porter, Mark Kramer, 2011.