Ineguaglianze, povertà e capitale umano

La crisi ha avuto l’effetto di cancellare in poco tempo i progressi raggiunti dagli anni 90 in termini di riduzione della povertà. I nuclei famigliari che fanno affidamento su salari precari, giornalieri e che non beneficiano della rete di sostegno, reddituale o sanitaria, sono stati fortemente penalizzati dalle restrizioni. I lavoratori immigrati che si trovano lontani dai paesi di origine hanno dovuto fare a meno delle tradizionali reti di supporto. Alcune stime1 indicano che circa 90 milioni di persone sono precipitate sotto la soglia di reddito (1,9 dollari USA al giorno) che identifica la condizione di estrema privazione.

Gli effetti più pesanti della crisi gravano sui soggetti economicamente più vulnerabili, sui giovani precari, sulle donne, sui dipendenti delle imprese più piccole, con una incidenza particolare nei settori maggiormente colpiti.

Lo stato delle diseguaglianze misurato dall’indicatore Gini2 si è amplificato rispetto ai primi anni 90 in molte economie avanzate così come nei paesi emergenti.

Le condizioni di lavoro possibili, come lo smart working, il telelavoro hanno favorito categorie di persone con livelli di educazione più elevati, possibilità accesso alle tecnologie e disponibilità di strumenti digitali e reti di connettività.

Questa modalità di lavoro, al pari della didattica a distanza per i bambini e ragazzi in età scolare ha rappresentato un salto evolutivo importante. In Italia secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, sono stati 6,58 milioni coloro che in questi mesi del 2020 hanno affrontato il lavoro a distanza, che ha coinvolto il 97 per cento delle grandi imprese, il 94 per cento delle pubbliche amministrazioni ed il 58 per cento delle PMI.

Attenzione speciale va rivolta  alla combinazione tra  questa rapida rivoluzione del lavoro  e  la difficile gestione dei bambini e della loro educazione durante la fase di prolungata chiusura delle scuole che si è verificata in quasi tutti i paesi del mondo.

Secondo l’UNESCO sono stati circa 1,6 miliardi gli studenti di tutte le età che, salla scuola all’Università sono stati interessati da questo fenomeno. 

Per i bambini l’interruzione scolastica è stata una perdita di opportunità di apprendimento, che si è manifestata in modo più marcato per le famiglie dove la povertà ed il disagio si accompagnano con la indisponibilità di strumenti e l’ncapacità dei genitori di compensare il gap di istruzione.

In alcuni contesti la chiusura delle scuola he rappresentato anche una penalizzazione dei bambini nella nurtizione e nell’accesso ad ambienti salubri, poiché in molti paesi o zone disagiate delle economie avanzate le scuole provvedono pasti gratuiti per le famiglie a basso redddito.

La permanenza a casa dei bambini espone questi ultimi anche a maggiori rischi di violenze e sfruttamento, specialmente nei paesi più poveri3.

Le chiusure avranno probabilmnete conseguenze economico-sociali prolungate se non saranno colte le opportunità derivanti dalla revisione delle politiche economiche per ripristinare un soddisfacente livello di accumulazione del capitale umano.

In assenza di misure adeguate l’insufficiente o precaria scolarizzazione si traduce in livelli di reddito a vita intera più bassi che è una misura – anche se non esauriente – del benessere accessibile.


  1. IMF, Fiscal Monitor, World Bank, October 2020, (Box 1.2). 

  2. Coefficiente Gini 

  3. Korhoyah, Wreh, 2015, UNDP 2015, UNESCO 2020.